Intervista ad Ettore Scola all’occasione del Festival del cinema italiano di Annecy, in Francia. Un ritratto dell’Italia politica e del cinema, senza compiacenze.

di Rocco Femia

Come giudichi i film di oggi? In che maniera il cinema è espressione del paese ?
Intanto c’è da dire che sono molte le personalità che oggi fanno del buon cinema. Una qualità che forse si era persa negli anni ’90 fino agli inizi del 2000. Rispetto al passato, forse oggi il tempo delle montagne, in senso cinematografico, è finito ed è anche bene che sia così. Forse la pianura è più vicina all’uomo, a patto però che sia una pianura fertile e rigogliosa, fatta di buona terra, e poco importa se non ci sono montagne in vista. Una volta le grandissime personalità del cinema avevano forse in comune il fatto che nel loro insieme rappresentavano un ritratto abbastanza fedele dell’Italia. È questo che ha fatto il grande successo del cinema neorealista prima e della commedia all’italiana dopo. Questa grande informazione sul nostro paese, una specie di ritratto cinematografico collettivo. Adesso mi pare che anche le belle opere come quelle che sono uscite in questi ultimi anni, penso a Sorrentino, Garrone, Costanzo e tanti altri, ho come l’impressione che siano una indipendente dall’altra. Non formano un grande affresco italiano. Credo che questo non sia colpa dei singoli film, ma della mancanza di tessuto connettivo, di un comune denominatore, o forse una passione per il proprio paese che manca. In questo momento è difficile amare l’Italia, specialmente per gli italiani.

Vuoi dire che non emerge un vero sentimento nazionale?
Vedi, per fare qualunque mestiere, certo, ci vuole una enorme dose di passione personale. Senza la passione non succede nulla, ma è necessario anche un affetto particolare per il paese in cui si vive. Senza l’affetto per l’Italia, non credo che anche grandissimi cineasti avrebbero trovato l’ispirazione per fare Roma città aperta, Ladri di biciclette o La terra trema

L’affetto per l’Italia non deve certamente diventare connivenza. Le denunce di certi giornali o film non possono essere visti come un cattivo servizio all’immagine del paese, in particolare all’estero!
Certamente. L’amore di un artista per il suo proprio paese non deve essere cieco, al punto da giustificare tutti i difetti dell’oggetto amato. Anzi ti dirò, più si ama un oggetto e piu bisogna essere critici, oggettivi, a volte addirittura crudeli. Non credo che essere conniventi, come tu hai giustamente detto, con certe furbizie paesane, sia un segno di affetto, di amore per il proprio paese. Al contrario, la connivenza diventa giudizio di indifferenza. Penso che qualunque autore, in letteratura, musica, arti figurative, deve amare la realtà, anche se poi la cambia, la ribalta, la inventa…
Per esempio uno degli equivoci sul neorealismo è stato quello di dire che « ritraeva la realtà italiana ». Non è vero o comunque è vero solo in parte. Il neorealismo inventava anche la realtà italiana. Cercava di far fare, come si suol dire, bella figura al paese, a quella realtà che non sempre dava un buon esempio. Credo che l’artista abbia questa responsabilità. Amare quello che fa, ma soprattutto amare l’oggetto della sua indagine, della sua ispirazione, e per amarlo bisogna essere lucidi, crudeli, e a volte contrari. Un arte di appoggio, un’arte di convenienza, di collusione, non ha mai dato grandi frutti…
Perciò dire, come ha fatto Berlusconi, che chi mette in luce i mali del paese, non ama l’Italia è falso. E di mali endemici, purtroppo, l’Italia ne ha tanti, ognuno può scegliersi il suo: dalla criminalità organizzata alla corruzione, passando per il malgoverno e la superficialità di una classe politica che è solo preoccupata della propria condizione personale, del proprio interesse di parte. La verità è che gli italiani non meritano e non sopportano più questa classe dirigente. La cosiddetta società civile, è più avanti dei suoi governanti.

Di grande attualità è oggi la questione degli « stranieri », degli immigrati. Non hai paura che per strade diverse e ovviamente in un diverso contesto, si vogliano anche oggi restringere le libertà personali ?
Tutte le ideologie forti, tutti i sistemi, le dittature, a parte i danni che fanno durante la loro gestione, lasciano difetti e guasti ereditari. Quando finì il fascismo, con esso non finì certo quello che possiamo chiamare lo spirito fascista. I germi fascisti sono rimasti nella nostra vita quotidiana. Ogni individuo, nella sua giornata, può avere un minuto di fascismo. Anche il democratico più convinto se si distrae un momento, gli scappa il suo minuto di fascismo. Fa quasi parte quasi della nostra natura. Oggi tutti condannano il fascismo, a livello di dichiarazioni tutti si dicono antifascisti, però siccome questo fascismo sedimenta in ogni uomo, dipende poi dalla sua onestà intellettuale, dalla sua cultura di evitare che questo minuto di fascismo diventi un ora, una giornata e forse più. È comunque innegabile che certe tendenze di sopraffazione, di intolleranza e di leggerezza dei cittadini di fronte a certe leggi, sono oggi molto forti nel nostro paese e non solo in Italia.

Questa leggerezza non è una faccia nascosta, se vogliamo, del razzismo ? Una totale mancanza di interesse per l’altro, una sorta di egoismo e di chiusura.
Credo che l’indifferenza è la protagonista di ciò che viviamo oggi. E l’indifferenza è l’opposto dell’amore, la strada più subdola verso il razzismo. Attenzione dunque ai piccoli gesti, quelli che possono salvare un rapporto oppure distruggerlo.
Assistiamo oggi a delle reazioni molto dure contro questi nuovi emigrati, reazioni di rifiuto e di totale disprezzo. Quando invece, l’arrivo di nuove culture è una ricchezza, una possibilità nuova di scambio culturale e non un impoverimento della nostra civiltà. Non dimentichiamo che l’Italia è un paese che ha conosciuto la miseria di dover cercare lavoro altrove, in paesi lontani. Siamo milioni e milioni disseminati nel mondo. È terribile constatare che oggi questo stesso popolo è intollerante verso questi nuovi arrivati.

Hai paura che ci possa essere una deriva non democratica?
Io credo che la deriva sia già arrivata in Italia. Non credo che avrà sviluppi ancora più feroci e tendenze ancora più nette, verso una involuzione reazionaria. Il tessuto italiano tiene. Lo abbiamo dimostrato con il terrorismo. Quest’ultimo era convinto di vincere ed invece è stato sconfitto dal comune sentimento della gente che lo ha rifiutato. Così per il periodo delle stragi, uno dei momenti più difficili per la tenuta democratica. Non vedo pericoli, però è necessario che tutti si convincano che è possibile cambiare. Contrastare quella subdola sensazione che tutto deve restare come prima. Possiamo, con il lavoro di ognuno, cambiare le cose…

E se la realtà fosse che i politici in fondo somigliano tanto agli italiani ?
Certo, non è che le cose nascano improvvisamente dal terreno senza essere state seminate. Tutto quello che abbiamo oggi è stato seminato, voluto, propagandato con mezzi economici enormi. Mezzi anche « intellettuali ». Vedi, quando si dice che non ci sono più ideologie, che non esiste più capitalismo e comunismo, questo è vero ed è un bene, ma c’è un’altra ideologia forte che è intervenuta in Italia nel frattempo ed è il « berlusconismo ».
Io non mi appassionavo quando si discuteva per esempio del dopo Berlusconi. Non credevo che le cose sarebbero cambiate dopo Berlusconi, proprio perchè giustamente esiste il berlusconismo. Le eredità negative sono più dure a morire e più resistenti di quelle positive. Sarà proprio questo il problema con cui l’Italia deve fare i conti nei prossimi dieci, venti anni. Il berlusconismo non è un fungo nato così… ma venti anni di operazione capillare, sotterranea, quotidiana attraverso la televisione, la scuola, la stampa guidata e controllata; e dunque sarà un duro lavoro di ricostruzione. In questo non sono proprio molto ottimista. Purtroppo credo che ne avremo ancora per molto.

Come vivi il rapporto con la cultura francese ?
Il rapporto che ho con la Francia è quotidiano, familiare. Risale a quando avevo 8-9 anni. Avevo un nonno cieco che per fortuna, lo dico oggi, essendo un grande lettore, mi obbligava a leggere per lui. Soprattutto i testi che riguardavano la letturatura e la storia francese. Quindi già a quell’età leggevo delle cose che, a dire il vero, erano spesso incomprensibili. Mi imponeva addirittura di leggere Le lettere persiane di Montesquieu, Lamartine. Poi per farmi riposare mi proponeva di leggere I misteri di Parigi o Alexandre Dumas oppure anche Théophile Gautier con il suo Capitaine Fracasse.
Da allora avere contatti con la Francia è stato per me naturale. Quando ho poi fatto questo mestiere, per me scegliere un attore tra gli italiani con cui avevo sempre lavorato, come Mastroianni, Sordi, Gassman e quelli francesi era l’identica cosa. Attori come Jean-Louis Trintignant, Philippe Noiret, Fanny Ardant erano presenze normali come gli italiani. Una sorta di non rilevanza della differenza tra Italia e Francia. Differenze che pure esistono e a volte sono anche importanti.

È vero. Cocteau diceva che « i francesi sono italiani di cattivo umore »
Chissà, forse è vero. Ma oggi ho come l’impressione che anche gli italiani stiano diventando di cattivo umore. Che stiano perdendo la loro bonomia, quel carattere solare che li caratterizza da sempre. Un’Italia coperta da cieli plumbei sotto i quali cerco, nonostante tutto, di coltivare il mio ottimismo verso tempi migliori.

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Rocco Femia, éditeur et journaliste, a fait des études de droit en Italie puis s’est installé en France où il vit depuis 30 ans.
En 2002 a fondé le magazine RADICI qui continue de diriger.
Il a à son actif plusieurs publications et de nombreuses collaborations avec des journaux italiens et français.
Livres écrits : A cœur ouvert (1994 Nouvelle Cité éditions) Cette Italie qui m'en chante (collectif - 2005 EDITALIE ) Au cœur des racines et des hommes (collectif - 2007 EDITALIE). ITALIENS 150 ans d'émigration en France et ailleurs - 2011 EDITALIE). ITALIENS, quand les émigrés c'était nous (collectif 2013 - Mediabook livre+CD).
Il est aussi producteur de nombreux spectacles de musiques et de théâtre.