Sberleffo, derisione sistematica e senza freni, insomma bisogno di ridere obbligatoriamente. L’Italia, per chi la scopre in televisione, è sotto il giogo di una sorta di « umorizzazione » nella quale la figura del comico Maurizio Crozza, ha assunto un vero e reale potere.

Devo subito dire che di Maurizio Crozza non perdo una sola puntata. Aggiungo che in queste righe non prendo in considerazione il ruolo che ha avuto nella politica italiana il comico per antonomasia, Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle. Ci vorrebbe un dossier solo per lui. Grillo rimane l’esempio di un processo che ha permesso a molti comici di assaporare, nel bene e nel male, l’ebbrezza del potere. Ma questa è un’altra storia. In queste righe si tratta invece di vedere che tipo di potere è quello del comico. E in particolare del comico più famoso d’Italia: Maurizio Crozza.

Una comicità, quella di Crozza, per niente negativa, anzi. Per certi aspetti è grazie a comici come lui, diventati ormai veri e propri specchi del paese, che s’intuiscono e percepiscono meglio i fatti della società e soprattutto della politica italiana. Non a caso la parola di Crozza è più ascoltata di quella di un politico. È capace di produrre consenso, perché a differenza del politico che fa ridere (nel senso di pietas), Crozza invece distrae perché è un ridere senza quel noioso e ripetitivo dibattito di una politica che suscita noia e disprezzo.
Ma allora, qualcuno potrebbe pensare, in Italia tutti se la ridono? Non è proprio così. È vero però che esseri seri di questi tempi oppure non partecipare al grande divertimento insieme agli altri, si rischia di essere accusati di moralismo o nel migliore dei casi di intellettuali di sinistra, che è come cadere dalla padella nella brace.
Una cosa è comunque certa, non c’è spettacolo d’informazione politica che non inizi o finisca con la sua ondata di risate comiche, Maurizio Crozza docet. Al punto che una trasmissione d’informazione politica come Di martedì su La7, senza l’intervento di Crozza ridurrebbe i suoi ascolti di molti punti percentuale.
A spiegarne il successo non basta sicuramente il fatto che viviamo in un’epoca grigia e offuscata e che di conseguenza « fa bene ridere ». No, non basta.
La percezione degli italiani, ascoltando i monologhi di Crozza, è quella di essere informati ridendo. Un ingrediente che si rivela essenziale per il comico genovese. Sarà buono? Forse qualche dubbio viene, nonostante la qualità dei monologhi “crozziani”. E poi gli italiani non chiedono di più. Ascoltano in tv quello che vorrebbero fosse loro raccontato. Crozza nonostante il suo aspetto positivo di risata intelligente (sicuramente i migliori autori di sketch ce li ha lui), rischia di diventare deleterio alla formazione di una coscienza critica.
Perché il ruolo che tradizionalmente era appannaggio dei giornalisti, degli scrittori o intellettuali, oggi è occupato da lui che si è visto dare più potere e presenza.
E così Crozza recita, con un talento enorme, il ruolo del comico che fa ridere e nello stesso tempo, quello di commentatore politico, di moralista per dirla in parole semplici.
In quest’ottica il comico non è più, come poteva esserlo una volta, un’arma per lottare contro il potere, ma ne è un suo prodotto. Un sistema che produce la propria presa in giro, interna, senza che questo lo rimetta in causa anzi, per certi versi lo conferma. La prova che si tratta di ratifica del sistema che pretende deridere, è fornita dal cachet del comico. Decine di migliaia di euro a puntata.
Tutti, dunque, attori di uno stesso copione, di una stessa commedia. Non più all’italiana, stile Monicelli e compagnia, ma del denaro.
Crozza che fa parte di questo sistema, ne ha perfettamente capito gli ingranaggi e vi opera da professionista.
La maniera in cui prende in giro la politica ha addirittura portato al risultato che ormai i politici vanno in televisione e sono contenti di farsi coprire di ridicolo e di sarcasmo. La doppia inquadratura di Crozza e del politico di turno in studio lo dimostra chiaramente. Tutto è studiato alla perfezione. Per i politici essere nel mirino di Crozza è mediaticamente un bene. Per questo ridono mentre vengono presi in giro e non sempre in maniera rispettosa. Questo perché ormai molti artisti, senza saperlo, si sono fatti strumentalizzare dalla politica in una maniera nuova, diventando il braccio secolare del potere quando invece dovrebbero al contrario tenerlo a dovuta distanza. Ci mangiano insomma.
Certo, ci sono sempre stati artisti vicini al potere, ma forse mai come in questo momento. E funziona, soprattutto economicamente. Se il cachet di un Crozza a Di martedì è pagato varie decine di migliaia di euro a puntata (si parla d’ingaggio milionario all’anno), non vi pare legittimo chiedersi se non ci sia qualcosa d’indecente nel criticare il sistema, quando vi si è dentro dalla testa ai piedi?
I politici che in certe trasmissioni partecipano alla loro stessa desacralizzazione e alla loro derisione, non fanno altro che il gioco del comico. E Crozza lo sa bene. Sa bene che non prende nessun rischio nel ridicolizzarli, dato che il vero potere non è più nelle mani dei politici, ma come sempre è rimasto allo stesso posto dov’era: nel dio denaro.
Per i politici la loro presenza agli sketch di Crozza vale la loro esistenza e sanno bene che la gente non perde una sola puntata della trasmissione.
In questo senso, il comico è diventato un uomo potente, non certo perché una delle sue battute possa rovinare la reputazione di un politico, ma perché il fatto stesso che lui ne parli lo fa esistere agli occhi della gente.
Buffone e Re, nello stesso tempo. Sono lontani i tempi di Dario Fo.
In questo senso, la vera sovversione oggi è quella di essere persone serie, cosa che è alla portata di poca gente. In Italia si fa fatica e si contano sul palmo di una mano, almeno in televisione. Fare programmi seri nel nostro Paese, significa essere colpiti da scomunica, significa essere “fuori moda”. Meglio un comico.
L’atteggiamento che oggi è più richiesto, è quello dell’impertinenza, ma non nel senso d’irriverenza, sfacciataggine o altro simile, no. Impertinenza nel senso proprio etimologico del termine, cioè di mancanza di pertinenza. Essere im-pertinente è esattamente l’opposto della pertinenza che è poi sinonimo d’autorità, proprio ciò di cui oggi ha bisogno il Paese. E allora ecco che assistiamo al riso di compagnia, una compagnia di beati benpensanti, caratteristica principale della nostra epoca.
Eliminare i problemi attraverso una fragorosa risata, con la certezza in più che nemmeno ci seppellirà.

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Rocco Femia, éditeur et journaliste, a fait des études de droit en Italie puis s’est installé en France où il vit depuis 30 ans.
En 2002 a fondé le magazine RADICI qui continue de diriger.
Il a à son actif plusieurs publications et de nombreuses collaborations avec des journaux italiens et français.
Livres écrits : A cœur ouvert (1994 Nouvelle Cité éditions) Cette Italie qui m'en chante (collectif - 2005 EDITALIE ) Au cœur des racines et des hommes (collectif - 2007 EDITALIE). ITALIENS 150 ans d'émigration en France et ailleurs - 2011 EDITALIE). ITALIENS, quand les émigrés c'était nous (collectif 2013 - Mediabook livre+CD).
Il est aussi producteur de nombreux spectacles de musiques et de théâtre.