Gli italiani riscoprono la terra. Nuove imprese agricole nascono, moltissime trainate da giovani. Tra voglia di autenticità e nuove opportunità che l’agricoltura offre.

Contadino: nella lingua italiana indica un mestiere, quello di chi lavora la terra. In senso colloquiale conosce però una deriva meno lusinghiera al punto da diventare un’offesa. Spesso si taccia di contadino una persona rozza, poco educata. Altri appellativi dispregiativi attingono tradizionalmente al mondo dell’agricoltura: villano (sgarbato, sfrontato), deriva etimologicamente da villa, casa di campagna. O ancora, per esempio, l’offesa classica che gli italiani settentrionali rivolgevano ai migranti meridionali, chiamati “terroni”, coloro che, appunto, lavorano la terra. E chi non conosce l’espressione “braccia rubate all’agricoltura” che sta per una persona che avrebbe dovuto lavorare i campi piuttosto che cimentarsi in un lavoro più grande delle sue capacità, come dire: altro non sa fare.

All’inizio del XXI secolo, possiamo dire che tutto questo è un retaggio linguistico che inizia a non avere più corrispondenza con la percezione che gli italiani hanno del lavoro agricolo. Non è solo la sensazione di chiunque viva oggi in Italia, ma anche una certezza confermata dai numeri: un terzo delle aziende agricole italiane attive oggi sono nate negli ultimi dieci anni e molte di queste imprese sono gestite da giovani. Mentre gli istituti agrari guadagnano iscritti a scapito dei licei. Il ricambio generazionale nei campi è incentivato da una serie di agevolazioni ad hoc: come il contributo all’avviamento, voluto dall’Ue per i meno di 40 anni (fino a 70mila euro a fondo perduto), che quest’anno, nella sola Toscana, prevede risorse per 40 milioni di euro da destinarsi a 400/500 aziende.

E poi ancora incentivi per impianti a Gpl per il riscaldamento degli stabili, un regime speciale per l’Iva agricola, detrazioni d’imposta sull’affitto di terreni e mutui agevolati per giovani agricoltori, nonché la messa a disposizione da parte del Ministero di oltre 5500 ettari di terreni incolti. Il Piano 2015-2017 per il rilancio del settore agro-alimentare italiano stanzia risorse per oltre 2 miliardi di euro.

Sembra quindi il momento giusto per investire in agricoltura. Ma dire che gli italiani stanno tornando alla terra è vero solo in parte, anche perché la terra ha aumentato le sue potenzialità applicative e occupazionali. L’agricoltore non è più solo colui che semina e coltiva frutta e ortaggi e poi li porta al mercato. Agricoltore è anche Paolo Ferraris, 33enne ex industrial designer che ha messo online la sua azienda di Vercelli, coinvolgendo così i clienti in un meccanismo di “orti a distanza”, dove gli stessi clienti decidono grandezza e tipologia e seguono la crescita della verdura che acquisteranno. è agricoltore Roberto Moncalvo, 35enne i cui campi di Settimo Torinese servono non solo a produrre ortaggi e cereali biologici, ma ospitano attività di ortoterapia con persone svantaggiate in collaborazione con i servizi sociali. E nei campi lavora anche Matteo Castioni, che vi coltiva microalghe destinate alla produzione di cosmetici e fertilizzanti. La sua Algain Energy ha dovuto fare i conti con una tromba d’aria l’anno dopo la fondazione (2013) e conta di iniziare a fare utili non prima del 2016. Difficoltà iniziali a parte, resta il fatto che prima di Matteo e dei suoi soci, a nessuno in Italia erano mai venute in mente le microalghe, e così adesso si trova pioniere in un mercato nazionale dedito all’importazione da Giappone e Stati Uniti. Paesi a cui darà del filo da torcere. “La nostra azienda ha brevettato un sistema di coltivazione con fotobioreattori”, spiega, “che riescono a controllare le contaminazioni, in modo da garantire uniformità al prodotto e quindi una maggiore qualità”. Le professionalità chiamate in causa da Algain Energy sono varie, dagli ingegneri chimici ai biotecnologi, che forse avrebbero ipotizzato un futuro in un laboratorio farmaceutico più che in un’azienda agricola.

Alessandra Bartali

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