In mostra a Venezia Me ne frego! , il documentario dell’Istituto Luce che racconta della fallita rivoluzione linguistica del regime fascista di Mussolini: niente anglicismi e dialetti. E gli intellettuali assentivano.

L’Istituto Luce, il maggiore archivio storico italiano, ha finanziato e diretto un interessante progetto cinematografico che sfilerà in questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia, a cura della linguista Valeria Della Valle e del regista Vanni Gandolfo.
Il documentario si intitola, neanche a dirlo, Me ne frego! ed è un ritratto approfondito ed ironico delle trasformazioni cui la lingua italiana venne sottoposta durante il Ventennio, dall’ascesa di Mussolini nel ’23 fino alla sua deposizione.
Via gli anglicismi, simbolo dell’influenza della « perfida Albione » (come all’epoca veniva chiamata l’Inghilterra); via le espressioni troppo effeminate ,come il darsi del « Lei » che venne sostituito con il « Voi », più virile e sintomatico del « machismo » fascista. E basta con quegli inutili dialetti, simbolo di un Italia arretrata e incivile.

Non sono gli anglicismi, ma qualsiasi parola dal sapore straniero veniva bandita.
Non si andava più in vacanza a Courmayeur, bensì nella italica Cormaiore; poi la sera si va a prendere un aperitivo con gli amici…ma non certo un effemminato cocktail! Molto meglio un arlecchino, più vicino ai gusti del maschio fascista.
E se si voleva ascoltare un po’ di musica, si andava in un negozio di dischi ad ascoltare l’ultimo 45 giri del grande trombettista Louis Armstrong.
« Louis Armstrong? » avrebbe risposto il negoziante « forse parlate di Luigi Fortebraccio! »
Già, perché a partire dal 1936 si diffuse una circolare del Partito Fascista che impose ai giornali di tradurre in italiano tutti i termini stranieri contenuti nelle canzoni, compresi i nomi degli artisti.: così il clarinettista Benny Goodman diventava il bonario Beniamino Buonuomo, l’attrice e show-girl Wanda Osiris diventava più semplicemente Vanda Osiri.
Nel 1938 la musica jazz, ormai dilagante, veniva bollata come musica negroide e bandita completamente dalle programmazione radiofoniche.

Ma gli intellettuali, i professori e i linguisti cosa pensavano di questa grottesca « rivoluzione »? Ecco un estratto dal Il Popolo d’Italia del 10 luglio 1938:

« Dobbiamo ritornare alla nostra tradizione, dobbiamo rinnegare, respingere le varie mode di Parigi, o di Londra, o d’America. Se mai, dovranno essere gli altri popoli a guardare a noi, come guardarono a Roma o all’Italia del Rinascimento… Basta con gli abiti da società, coi tubi di stufa, le code, i pantaloni cascanti, i colletti duri, le parole ostrogote »

Persino una mente brillante e all’avanguardia come quella di Giovanni Gentile, il filosofo che diede il suo nome alla riforma scolastica più importante mai varata in Italia (forse l’unico lascito degno di merito di quel ventennio), diede il suo appoggio, e con lui altri intellettuali come Filippo Marinetti (l’inventore della corrente letteraria nota come Futurismo) , Luigi Federzoni, Alessandro Pavolini. E le testate nazionali si adeguarono subito, iniziando a stilare liste di nomi « assolutamente da evitare » o da « italianizzare ».
A proposito dell’introduzione del « voi » al posto del « lei », c’era anche chi guardava il lato comico della faccenda, come l’attore comico Totò che parlando del noto astronomo Galileo Galilei, lo chiamava Galileo Gali-voi.
Anche i dialetti tra i banchi di scuole erano teoricamente banditi. Teoricamente perché in realtà, il 90% della popolazione continuava ad usare il dialetto della propria regione, o città, in barba ai decreti del Duce.

Ma la lingua « se ne frega » delle leggi e dei decreti. La lingua italiana è un organismo vivo che segue le sue proprie leggi , difatti della « rivoluzione » linguistica fascista, oggi non è rimasto molto, se non l’involontaria comicità che oggi genera negli italiani del XI secolo.

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