L‘economia stenta a risalire e non è facile nella nostra storia trovare esempi di sana gestione delle casse pubbliche. L’Italia solo due volte ha fatto quadrare i conti pubblici dello Stato: nel 1876 e nel 1925. Indovinate come ci riuscirono i governanti di allora…

Se a casa facendo i conti vi accorgete che in un anno avete speso solo quello che avete guadagnato (o meno) senza intaccare i vostri risparmi, avrete ottenuto un risultato che piacerebbe alla Bce. Si chiama pareggio di bilancio e se per una famiglia è un traguardo ragguardevole, per uno Stato è un gran successo. Per una nazione significa, infatti, mantenere l’equilibrio tra il denaro che entra (tasse in primo luogo) e quello che esce annualmente (scuole, ospedali, servizi pubblici…). Lo dovrebbero sapere bene i nostri politici, che per il 2014 dovranno centrare l’obiettivo economico del pareggio di bilancio inserito nella Costituzione (nel 2012) perché, come si dice “lo chiede l’Europa”. Se poi questo benedetto pareggio ci aiuterà ad uscire dalla crisi o, al contrario, come ritengono alcuni economisti, finirà per aggravarla, si vedrà. Di certo gli unici due esempi di pareggio nella nostra Storia (entrambi precedenti la Repubblica) hanno una cosa in comune: l’obiettivo fu centrato solo con grandi sacrifici. Vale per il 1876, con il governo della Destra storica, e per il 1925, in pieno Ventennio fascista.
Le prime due volte Innanzitutto, c’è da osservare che i contesti storici e sociali in cui avvenne il “miracolo” erano radicalmente diversi. Nel 1876 il presidente del Consiglio Marco Minghetti, che era anche ministro delle Finanze e di economia ne sapeva (v. box), si trovò a guidare uno Stato ancora minorenne (il Regno d’Italia esisteva da 15 anni) e perciò molto fragile economicamente.

Federica Ceccherini e Laura Faggin

Bottone Radici