Sono passati quasi settant’anni dal debutto della Vespa 400, la piccola auto dimenticata che, in fondo, racconta una storia molto più grande di sé. Una storia di sogni infranti, di ambizioni tradite, di un’Italia che voleva crescere ma non sapeva fare spazio ai suoi figli più audaci.
Ed è proprio per questo che oggi, mentre qualcuno già prepara i festeggiamenti per questo anniversario silenzioso (nel 2027), vale la pena rispolverare la storia della Vespa 400: l’italiana che ha preferito la Francia.
E sì, perché si legge Vespa e uno pensa subito all’Italia. Ma la Vespa 400 è tutt’altro. La piccola auto, una sorta di coccinella timida, non ha visto la luce sotto il sole della Liguria, ma sotto il cielo grigio di Fourchambault, nella Nièvre, in Borgogna. Un’auto sconosciuta e mai commercializzata nel Bel Paese che fu progettata, costruita e soprattutto venduta quasi esclusivamente in Francia.
Perché? Forse perché la grande famiglia italiana non ama i figli illegittimi. E la Vespa 400 era un po’ questo: una figlia illegittima, nata dal sogno (troppo ambizioso) di Enrico Piaggio, il fondatore della mitica Vespa a due ruote, che voleva diversificare la produzione del suo impero, e di passare dagli scooter alle automobili, offrendo all’Italia del dopoguerra una piccola macchina cittadina. Una risposta, anche, al boom economico dei Trenta Gloriosi.
Ma la Fiat dell’epoca, potente e gelosa, non aveva alcuna intenzione di accogliere un nuovo concorrente sul mercato. Pressioni, minacce velate: alla fine i fornitori si tirano indietro, e Piaggio è costretto a esiliare il suo progetto in Francia.
Così, nel 1957, negli stabilimenti dell’ACMA (Ateliers de Construction de Motocycles et d’Automobiles) a Fourchambault, nasce la Vespa 400. Un’italiana naturalizzata francese.
Verrà presentata in pompa magna a Parigi, al Pré Catelan, e a Monte Carlo, con piloti leggendari come Chiron, Fangio, Behra. Tre colori per tre modelli: blu, bianco, rosso. Il messaggio è chiaro: questa macchina è più francese che italiana.
Eppure, non è lo stile che gli manca! Con i suoi 2,85 metri, 12 cavalli del piccolo bicilindrico due tempi, i suoi 85 km/h di velocità massima, venne pensata per conquistare una clientela giovane, femminile, urbana. Un giocattolo accessibile (venduta all’epoca a circa 345.000 franchi), un’alternativa chic alla 2CV o alla 4CV.
Ma c’è di più. La Vespa 400 osa l’avventura, partecipa a rally senza mai cedere, dimostrando una robustezza insospettata.
Ma il sogno si rivela fragile. Nonostante qualche miglioramento – la versione spiaggia, la GT con cambio a quattro marce, cromature e sedili bicolore – le vendite crollano. La produzione, prevista per 200 veicoli al giorno, non arriva mai nemmeno alla metà.
Nel 1961, cala il sipario. 30.976 esemplari prodotti, di cui appena 1.600 esportati negli Stati Uniti, e la Vespa 400 non ha potuto conquistare il cuore degli italiani.
E poi l’ironia suprema: quando lo stabilimento chiude i battenti nel 1962, viene acquistato da Simca, filiale di… Fiat.
Oggi, la Vespa 400 è una storia dimenticata, forse un fallimento, ma un fallimento che dice molto: sull’arroganza delle grandi potenze industriali, sui sogni spezzati degli outsider, sui legami pericolosi tra industria e politica. Ma è anche un invito a ricordare che una macchina italiana può essere più francese di quanto si creda!