A 70 anni di distanza dal sanguinoso evento, molti nomi delle vittime restano sconosciuti. Il ricordo di quel tragico evento.

Herbert Kappler. È un nome che, salvo l’evidente origine teutonica, all’apparenza dice ben poco.
Ma la Storia, certi nomi li ha scolpiti su una pietra rosso sangue, e quello di Herbert Kappler è il nome di un carnefice.
Era già noto ai romani per essere il comandante delle SS a Roma, durante l’occupazione nazista della Capitale nel 1943, e soprattutto per essere un uomo di  pochi scrupoli.
Lo dimostrò subito pretendendo dagli ebrei del ghetto di Roma la consegna di 50 chili d’oro, pena l’immediata deportazione nei campi di sterminio tedeschi. Gli ebrei pagarono, in silenzio; 12.000 persone si piegarono a quella disgustosa estorsione che avrebbe fatto arrossire di vergogna persino la mafia siciliana, ed in 36 ore pagarono l’amaro prezzo delle loro vite.
Ma fu solo un riscatto temporaneo, poiché Herbert Keppler due settimane dopo decise comunque di prelevare forzatamente dalle loro abitazione 1.200 persone, imbottigliarle in quei lugubremente celebri vagoni ferroviari, e mandarle al macello.

La scelta dei prigionieri

Ma Herbert Keppler fece, se possibile, anche di peggio. Fu lui che scelse uno per uno i 335 italiani da uccidere, per rappresaglia ad un attentato avvenuto ai danni di un gruppo di soldati tedeschi a via Rasella.
Come un burocrate che cerca tra i suoi registri i nomi di chi deve pagare la tasse, allo stesso modo, l’ufficiale delle SS aiutato dal suo braccio destro Erich Priebke, lavorarono tutta la notte per stendere una lista che fosse adeguata agli ordini provenienti dal loro superiore, il generale Kurt Malzer, comandante militare di Roma.

Ebrei, « noti comunisti », antifascisti, semplici carcerati, perseguitati politici…persino alcuni condannati per « oltraggio alle truppe tedesche »…non aveva importanza, poiché si riuscisse a raggiungere il numero di 335 persone.
Le esecuzioni iniziarono alle 15:30, tra le catacombe di San Callisto e santa Domitilla, e gli stessi Keppler e Pribeke parteciparono alle esecuzioni, premendo il grilletto. A turni di 5, i condannati si avviavano senza saperlo in quelle catacombe da cui non sarebbero più usciti.
Un colpo di pistola dietro la nuca, ripetuto 335 volte.
L’operazione terminò alle ore 20:00, dopodiché i genieri nazisti sigillarono le grotte facendole crollare, nella speranza di far sparire ogni traccia dell’eccidio, di far dimenticare al mondo il nome di quei 335 prigionieri uccisi senza un perché

Oggi, noi non dimentichiamo.