È senza dubbio una delle giornaliste più competenti che abbiamo in Italia, ma anche la più temuta per il rigore e la trasparenza dell’informazione. Il motivo ce lo spiega lei stessa in questa intervista per RADICI.

“Faccio al meglio il mestiere per cui sono pagata”. Sarebbe una rivoluzione se tutti prendessimo spunto da ciò nel nostro pezzo di quotidiano.

 

Com’è nata l’avventura della trasmissione Report? Lei fu la prima a credere nei freelance decidendo di far girare le riprese agli stessi giornalisti e non ai cameraman. Che cosa prova oggi nel vedere che il video-giornalismo, “inventato” da lei in Italia, oggi è così diffuso soprattutto sul web?

Io non ho inventato nulla, eventualmente sono stata fra i primi a utilizzare in modo professionale uno strumento considerato “amatoriale”, più per necessità che per passione. Pagavano poco e quindi bisognava spendere poco. Era però richiesta in cambio un’alta qualità nel contenuto. Da qualche tempo il video-giornalismo è diffuso perché la tecnologia lo consente, le telecamere sono sempre più piccole e sofisticate, e la nuova generazione di giornalisti ha imparato ad usarle. Tuttavia il mezzo non cambia la sostanza, che è sempre quella, da quando il giornalismo è nato. Ovvero: dietro ad uno strumento, c’è sempre una testa che pensa.

Se la ricorda la canzone di Giorgio Gaber La Presa del potere, del 1973? Soprattutto quel passaggio dove dice: “Ora si tolgono i mantelli son già sicuri di aver vinto, anche le maschere van giù, ormai non ne han bisogno più, son già seduti in Parlamento. Ora si possono vedere sono una razza superiore sono bellissimi e hitleriani. Chi sono? Chi sono? Sono i tecnocrati italiani. E intanto l’Italia gioca a carte e parla di calcio nei bar, ride e canta”. Strana somiglianza con quanto viviamo oggi, no?

Sì, aggiungerei alle attività citate da Gaber anche quella di lamentarsi. Siamo diventati molto bravi in questo… ma ci fermiamo lì.

Rocco Femia

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