Il 9 e 10 giugno scorso, gli italiani sono stati chiamati a votare su cinque referendum abrogativi riguardanti il diritto del lavoro e la cittadinanza agli stranieri. Ma con un’affluenza al 30%, le consultazioni sono state invalidate. Più che una sconfitta politica, è il segno di un vuoto democratico.

ROCCO FEMIA

Il vero vincitore dei cinque referendum abrogativi del 2025 è l’astensione. L’Italia non ha parlato. Ha scelto il silenzio. E nel farlo ha perso un’occasione per dimostrare di essere ancora una democrazia che respira. Con una partecipazione ferma poco sopra il 30%, ben lontana dal 50% +1 necessario per rendere valido il voto, i referendum sono stati dichiarati nulli. Poco importa che l’80% dei votanti si sia espresso a favore delle riforme sul diritto del lavoro o che il 65% abbia detto sì alla proposta di cittadinanza più accessibile. Questi dati sono ormai carta straccia. E con loro, anche le speranze di chi credeva che la democrazia potesse ancora passare dal basso.

Non basta più parlare di “disaffezione”. Qui c’è qualcosa di più profondo. C’è un popolo che si allontana dall’idea stessa che la propria voce conti. Un popolo che non si astiene per protesta, ma per rassegnazione o, peggio, per indifferenza. E questo, in democrazia, è molto più pericoloso dell’odio. Il dato più sconcertante è che una parte della classe dirigente non solo non ha provato ad arginare questa deriva, ma l’ha alimentata. L’annuncio, solo in apparenza neutro, della Presidente del Consiglio Meloni – di voler andare al seggio per poi non votare – ha avuto un effetto simbolico devastante. Un’astensione istituzionale, benedetta dal potere. Un messaggio limpido: se non siete d’accordo, restate a casa. Altri sono stati ancora più espliciti: inviti a “andare al mare”, ironie sulla “sinistra perdente”, esultanze post-voto con slogan da stadi di calcio. Così la politica, da strumento di confronto, si fa dissuasione. Non c’è più volontà di convincere, ma solo di impedire che gli altri esistano.

Il meccanismo del quorum, in Italia, si conferma oggi un paradosso. Ma non è nato per esserlo. Fu pensato per evitare che una minoranza esigua potesse decidere per tutti. Aveva una logica, persino una nobiltà: chiedere che una parte consistente del popolo fosse presente, per rendere legittimo il verdetto. Il problema non è nella sua origine, ma nel tempo presente che lo rende un alibi. Per questo la vera questione non è riformare il quorum, ma tornare a sentire il voto come un dovere, non solo un diritto. Forse è tempo di interrogarsi seriamente sulla necessità di rendere il voto obbligatorio. Perché poco importa chi vince: quello che conta è che il cittadino partecipi, che dica la sua, anche con un “no”, con una scheda bianca, con un dubbio. Ma che lo dica. Perché quando il popolo non vota, non è più un popolo sovrano. È una platea che guarda, si distrae, si stanca, e lascia decidere ad altri.

Ecco perché à colpire di più, non è l’astensione numerica, ma l’astensione morale. L’idea che si possa rinunciare a dire la propria su temi come il lavoro, la dignità, la cittadinanza. È l’abdicazione silenziosa a ogni forma di responsabilità collettiva. È la morte lenta della fiducia. C’è ancora un’Italia che ci prova – e i giovani che sono andati a votare, i comitati che hanno raccolto firme, le voci che non si rassegnano, lo dimostrano. Ma è un’Italia sempre più isolata, sempre più minoritaria. Come se democrazia e partecipazione fossero ormai parole d’altri tempi, buone per qualche lezione di educazione civica, non per il presente.

Ora sarebbe il momento di svegliarsi. Ma temo che, come spesso accade in Italia, l’unica reazione sarà il commento amaro, la scrollata di spalle, la battuta cinica. Eppure, questa volta, la ferita è più profonda, perché non si è perso un referendum, si è perso un pezzo di democrazia.

R.F.

Site Web |  Plus de publications

Rocco Femia, éditeur et journaliste, a fait des études de droit en Italie puis s’est installé en France où il vit depuis 30 ans.
En 2002 a fondé le magazine RADICI qui continue de diriger.
Il a à son actif plusieurs publications et de nombreuses collaborations avec des journaux italiens et français.
Livres écrits : A cœur ouvert (1994 Nouvelle Cité éditions) Cette Italie qui m'en chante (collectif - 2005 EDITALIE ) Au cœur des racines et des hommes (collectif - 2007 EDITALIE). ITALIENS 150 ans d'émigration en France et ailleurs - 2011 EDITALIE). ITALIENS, quand les émigrés c'était nous (collectif 2013 - Mediabook livre+CD).
Il est aussi producteur de nombreux spectacles de musiques et de théâtre.