L’8 settembre 1943 fece dell’Italia un Paese allo sbando. Con l’illusione della pace e la realtà delle rappresaglie, della fame e delle bombe.

Beppe Fenoglio in Primavera di bellezza (1959) descrisse l’8 settembre visto con gli occhi di un soldato: “E poi nemmeno l’ordine hanno saputo darci. Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall’altro, o contrario. Resistere ai tedeschi – non sparare sui tedeschi – non lasciarsi disarmare dai tedeschi – uccidere i tedeschi – autodisarmarsi – non cedere le armi”. Poche righe che fanno rivivere i momenti drammatici in cui il nostro Paese, stremato da una guerra fallimentare, fu consegnato in mani straniere, americane al Sud, tedesche al Nord. Erano i giorni convulsi in cui Roma venne abbandonata dai vertici istituzionali italiani, il capo del governo Pietro Badoglio e il re Vittorio Emanuele III, proprio mentre si imponeva all’Italia una resa senza condizioni. Ci hanno provato in molti a raccontare quei giorni: romanzieri come Fenoglio, ma anche registi. Così in Primavera di bellezza il protagonista, ad armistizio annunciato, lascia la capitale e risale fino alle Langhe, in Piemonte, nel film Tutti a casa di Luigi Comencini (1960) il tenente Alberto Innocenzi (Alberto Sordi) scende dal Veneto a Napoli: ascoltato il proclama di Badoglio che annunciava l’armistizio, prova a mantenere la disciplina nel suo reparto, ma i soldati se ne vanno alla chetichella in una sorta di anarchico “liberi tutti”. Lui stesso, sotto la minaccia di ritorsioni tedesche, lasciati gli abiti militari non si schiera né con i tedeschi, né con gli Alleati. Inizia invece un viaggio tra campagne in miseria, rappresaglie naziste e focolai di lotta partigiana che gli svelano un’Italia ormai allo sbando. Uno sbando che aveva una data d’inizio precisa: il 3 settembre.

Giuliana Rotondi