Roma, 1° giugno 1946, vigilia del referendum fra Monarchia e Repubblica. È piena notte nella capitale, quando alle 2:20 dalla redazione centrale dell’agenzia d’informazione Ansa viene lanciato un dispaccio. Si tratta di un proclama di Umberto II, re d’Italia da tre settimane, dopo l’abdicazione del padre Vittorio Emanuele III: “Italiani, vi dico solennemente che in caso di riaffermazione dell’istituto monarchico accetterò le responsabilità che ho assunte secondo la legge della successione, ma per quanto mi riguarda e mi compete, mi impegno ad ammettere che, appena la Costituente avrà assolto il suo compito, possa essere ancora sottoposta agli italiani, nella forma che la rappresentanza popolare volesse proporre, la domanda cui siete chiamati a rispondere il 2 giugno”. Il re aveva voluto infrangere il silenzio della chiusura della campagna elettorale per provare in ogni modo a ribaltare i pronostici della vigilia favorevoli alla repubblica.

Le donne senza rossetto

Sul Corriere della Sera si leggevano note di colore, come questa: “Al seggio meglio andare senza rossetto alle labbra. Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne

nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio. Perché, come ha scritto Dorothy Thomson (una giornalista americana, ndr), ‘non è azzardato affermare che saranno le donne a far pencolare la bilancia in favore della Monarchia o della Repubblica”.

Francesco De Leo / Focus Storia

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