Che fine hanno fatto il denaro, gli assegni, l’oro e i gioielli sequestrati a Mussolini e ai gerarchi a Dongo nel 1945? Oggi lo sappiamo.

L’enigma dell’oro di Dongo, il tesoro arrivato con Mussolini nella località dell’alto lago di Como, in Lombardia, dove avvenne l’arresto del Duce, il 27 aprile 1945, è stato in gran parte risolto. Sebbene l’inventario completo dei valori sia stato fatto sparire, e di conseguenza oggi nessuno è in grado di indicare l’entità del “malloppo”, della parte nota del tesoro si possono seguire le tracce.

La prima “verità” riguarda il carattere disomogeneo di questa massa di denaro e preziosi. In parte era riconducibile alle dotazioni finanziarie della Repubblica sociale italiana: è questo il caso del “fondo riservato” del ministero dell’Interno. Oltre a ciò, con il convoglio viaggiavano i patrimoni personali (sotto forma di contante) di ministri e alti gerarchi che a Dongo furono uccisi. Infine c’era il denaro dei militari tedeschi che accompagnavano il Duce nella lunga colonna di automezzi fermata dai partigiani.

Non solo. Il tesoro di Dongo comprendeva valuta italiana e svizzera (sterline, pesetas, franchi francesi e svizzeri, dollari), banconote, moneta aurea e assegni. E poi gioielli, preziosi vari e oro.

L’altra verità è che una parte non trascurabile di quel forziere semovente “evaporò” a contatto con la popolazione locale, che dopo l’arresto si diede a una sorta di “assalto alla diligenza”.

Roberto Festorazzi

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