Dal 29 al 31 marzo 2019 a Verona si è tenuta la tredicesima edizione del congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families, WCF) che riunisce il movimento globale antiabortista, antifemminista e anti-LGBTQI. Parliamo per l’occasione del romanzo Nascita e morte della massaia di Paola Masino (édition française: La massaia. Naissance et mort de la fée du foyer).

Giornali e telegiornali ne hanno parlato, i partigiani della famiglia hanno montato barricate, tutti i movimenti femministi e LGBTQI si sono indignati. Manifestazioni dai colori sgargianti e dai pannelli provocatori hanno sfilato per l’una e per l’altra parte:
Dio, Patria, Famiglia! Verona è una città a favore della vita! Gridano gli uni.
Giù le mani dai miei desideri! Verona è una città transfemminista! Urlano gli altri.

L’importanza dell’evento non è da trascurare. Dopo i movimenti #metoo, #nonunadimeno e il risveglio di una certa coscienza femminista nella società, l’Italia ha visto ergersi la città di Verona a baluardo del tradizionalismo: prima con il consiglio comunale dello scorso ottobre 2018, che ha deciso di finanziare le associazioni cattoliche che si oppongono all’interruzione di gravidanza, poi con la scelta della città veneta per ospitare il congresso simbolo mondiale della difesa della famiglia tradizionale e della lotta all’aborto e alla comunità LGBTQI. Si tratta del primo incontro del congresso in Italia e tre ministri vi hanno preso parte in vesti ufficiali: il ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, il ministro per la Famiglia e la Disabilità Lorenzo Fontana, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.
Ora, di storie di lotte che potremmo raccontare per ricordare la fatica e i sacrifici vissuti dalle donne italiane per ottenere diritti e libertà che oggi sono rimessi in discussione dal Congresso delle famiglie, ne esistono tante. Tra tutte, vorrei consigliarvi di leggere o rileggere il romanzo Nascita e morte della massaia, di Paola Masino.
Questa piccola opera dalla storia editoriale complessa e travagliata, per moltissimi aspetti non somiglia a un romanzo: la narrazione cambia tono e genere più volte, alternando la scrittura narrativa a quella teatrale, alla poesia, passando dalla contemplazione filosofica a racconti onirici e simbolici degni del miglior Kafka. Paragonabile ad un romanzo di formazione al contrario, Nascita e morte della massaia è in realtà un labirinto tracciato, costruito, scavato nell’animo di una donna italiana vissuta a cavallo tra gli anni ’20 e gli anni ’30 .

Da bambina, la massaia era polverosa e sonnolenta”, così si apre il romanzo di Paola Masino
Sin dalle prime pagine, la narratrice non ha altro nome per la protagonista che quello di “massaia”. In questa parola è tracciato un destino che accomuna la giovane a tutte le ragazze della sua epoca. Siamo in effetti negli anni del fascismo, e soprattutto in concomitanza con le grandi campagne demografiche lanciate da Mussolini nel 1927: che le donne smettano di perdere tempo al lavoro o di consumare le loro capacità intellettuali in pensieri inutili e tornino al loro ruolo naturale di spose, madri e “angeli del focolare”, propagandava il Duce dal balcone di Palazzo Venezia, come propagandano oggi i partecipanti più estremi al Congresso delle famiglie.
Il percorso della giovane “massaia” raccontato da Paola Masino ripercorre quello delle donne nell’epoca fascista: la massaia, da bambina, trascorre il suo tempo in elucubrazioni e letture, si crea una coscienza critica estranea alla società che la circonda ma ricca d’intelligenza. Per questo, la società incarnata nel personaggio di sua madre non la riconosce: la minaccia di morire di crepacuore, le mette di fronte al suo dolore, fino a convincerla a lasciare il suo baule carico di pensieri per “farsi bella” e trovar marito, come si conviene ad una giovane della sua età, come tutte le sue sorelle hanno già fatto.

“Le premier devoir de la femme écrivain, c’est de tuer l’Ange du Foyer.”

Il romanzo della Masino è una discesa agli inferi, un racconto della repressione della propria natura e della rinuncia alle proprie vocazioni per ricoprire un ruolo che la società assegna alle donne da millenni, piegandosi alla volontà di madri, padri e sposi. Se Virginia Woolf assegnava alla donna scrittrice il compito di “uccidere l’Angelo del focolare” (metaforicamente, s’intende), Paola Masino in quest’opera fa esattamente il contrario: fa di una donna con uno spirito intellettualmente elevato un perfetto angelo del focolare, corrompendola pagina dopo pagina. E il risultato è di gran lunga più doloroso.
Se vi consiglio di leggere o rileggere in questi giorni Nascita e morte della massaia di Paola Masino, non è per paragonare la nostra attualità politica e le sue scelte a quelle degli anni ’20 – di voci a sostegno di questa tesi ne esistono già abbastanza – quanto per rivivere attraverso il suo racconto la sofferenza di una profonda repressione identitaria naturalizzata dalla società.
Nel romanzo, fin da bambina, la “massaia” fa un sogno ricorrente:

“Il sogno era questo: tele di ragno intorno e sopra e sotto di lei, da ogni parte, la serravano; non la toccavano, ma tutte insieme ondeggiando cercavano di avvolgerla, senza neppure arrivare a sfiorarla. Le apparivano soltanto e subito lei prendeva ad agitarsi le mani davanti al volto, a passarsele sul collo, a non sapere più muovere i passi, a sentirsi le ginocchia annodate. A poco a poco quei legami astrali le diventavano un impaccio dentro, il cervello le parava si facesse tenue e disteso, il cuore pendulo in fondo a un filo, e la voce, se avesse voluto parlare, le si aggrovigliava in un ronzio sommesso in fondo alla gola. Allora tutta la bambina si rattrappiva nel sonno e le sue membra erano scosse da uno stridente tremito, quasi una forza la sovrastasse che la schiacciava e succhiava da lei ogni umore.”

Di ragnatele nella nostra società ne esistono ancora tante, non abbiamo bisogno di costruirne di nuove o di restaurarne di vecchie. Lasciate stare le donne, il loro corpo, la loro vita e le loro scelte: stavano meglio quando Verona era “soltanto” la città dell’amore che vince su tutto.

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Née en 1991 à Lanciano, Francesca Vinciguerra a récemment obtenu son diplôme en littératures française et européenne dans les universités de Turin et de Chambéry, avec un mémoire en littérature post-coloniale française. Depuis septembre 2016, elle vit à Toulouse, ville où elle a entrepris une collaboration avec la revue RADICI et a terminé un service civique avec l’association de musique baroque Ensemble baroque de Toulouse.