Direzione Umbria, una pausa lontano dalle folle turistiche: escursioni a piedi o in bicicletta, in luoghi incantevoli con un grande passato, nella pace e nella tranquillità, godendo di un’ottima cucina. Il relax è garantito.

Sono le sei di sera e nell’Eremito si recitano i vespri; la partecipazione è ovviamente volontaria e io preferisco rimanere al piano di sotto, nella penombra della sala a volta, cullato dai canti gregoriani che provengono dall’altoparlante. Il mio romanzo mi scivola di mano, la bevanda alla mela speziata si raffredda nella tazza di argilla. Colpevole è questo benvenuto paradisiaco riposo. In una sorta di dormiveglia intravvedo passare figure in accappatoio, con il cappuccio calato sul viso, come i frati de Il nome della rosa. Si dirigono verso una vasca idromassaggio e i bagni di vapore in una grotta di pietra scura. Sono disintossicati digitali, come tutti noi qui, perché l’Eremito non è un monastero, ma un hotel dove gli ospiti vivono in stanze che ricordano le celle austere dei monaci, seppur ormai in un design abbastanza piacevole. L’idea è nata nella testa di Marcello Murzilli, imprenditore di successo nel settore della moda, in un’altra vita. Il lusso che vuole offrire è andato a scovarlo nel passato, quando ad illuminare le notti c’era solo la luna e la fioca luce delle candele. Le antiche case dove si trova l’Eremito, tra Parrano e Ficulle, nell’Umbria sud-occidentale, erano un tempo un borgo isolato; l’accesso è ancora oggi difficile e questo li rende ancora più desiderabili. E poi questo si addice perfettamente a Marcello: “Volevo creare un monastero laico per il terzo millennio”, mi dice, “per la gente che oggi è in crisi, tutto il giorno davanti allo schermo di un computer e costantemente connessi al mondo digitale. Qui vengono perché hanno bisogno di un luogo per l’anima, di un ritorno all’essenziale”. Per mesi ha cercato in tutta Italia il luogo ideale. Finché non ha capito che l’avrebbe trovato in Umbria.

SILENZIO RURALE E SPLENDORE DELLE CHIESE

L’Umbria è sicuramente la regione che può essere definita il “cuore verde d’Italia”, lontana dai mari Adriatico e Tirreno. Tuttavia, sono presenti il Lago Trasimeno e numerose foreste di latifoglie lungo la dorsale appenninica. Oliveti che si estendono come nastri d’argento lungo le dolci colline di un territorio che per coloro che lo visitano diventerà indimenticabile. Per altri, se si considerano città come Assisi, Gubbio o la stessa Spello, l’Umbria è un’”anima spirituale”. Ciò che è certo è che i grandi flussi commerciali e di traffico hanno sempre aggirato l’Umbria contadina. Il vuoto è stato colmato dalla religione e dalla Chiesa, con monasteri e santi, eremiti, mistici e pietà popolare difficile da contare. Questa realtà, ancora oggi, non è cambiata molto. In nessun altro luogo del Paese, infatti, l’offerta di vacanze monastiche, ritiri yoga e seminari di meditazione è più ampia che qui.
Assisi è stata la prima tappa del mio viaggio. È qui che nel XII secolo nacque San Francesco, fondatore dell’ordine francescano e santo patrono nazionale dell’Italia. Il fatto che l’attuale Papa Francesco si sia ispirato a lui per il suo nome ha dato al santo un ulteriore impulso di popolarità. Figuratevi che prima della pandemia, ad Assisi si contavano cinque milioni di visitatori all’anno.
In questa terra medievale, i fedeli che portano al collo la croce di legno con la Tau si mescolano alla folla di appassionati di arte e cultura. E poi qui i giovani monaci francescani suscitano immediata simpatia con la loro borsa per computer portatile e la felpa marrone sopra il loro saio secolare. Se ne incrociano dappertutto e come non può essere altrimenti ad Assisi, segnata per sempre dalla figura di San Francesco.
Verso la cripta della celebre Basilica dove si trova la tomba del Santo; gli occhi corrono dappertutto, affamati di arte e di spirito. Sopra la tomba si ergono le basse volte della chiesa inferiore romanica e poi, come in un gioco di prospettive, appaiono le altezze gotiche della chiesa superiore, entrambe interamente affrescate dai più grandi artisti del tempo: Cimabue e Giotto, Lorenzetti e Martini. Si dice che il Papa dell’epoca, Gregorio IX, pose la prima pietra della chiesa il giorno dopo la canonizzazione di Francesco, nel 1228. Non è stata risparmiata alcuna spesa o sforzo. Il santo era diventato la star del suo tempo, e la basilica doveva essere un oggetto di prestigio. E bisogna dire che questo influsso rimane intatto ancora oggi. È un turbinio di immagini di tale bellezza che, se è difficile resistere, al tempo stesso ci si sente schiacciati da tanta bellezza al punto da desiderare di tornare fuori.
Ecco, uscire fuori dalla chiesa, forse è anche questo il vero messaggio di Assisi. Andare incontro al mondo, dentro il cuore delle sfide del nostro tempo. Forse è soprattutto questo che dovrebbe essere la fede.

I VICOLI INCANTATI DI PERUGIA

Dopo Assisi, direzione Perugia. Lungo la strada l’Umbria apre le porte della sua felicissima ruralità, e il territorio davanti agli occhi appare come un dolce sottofondo che copre il rumore del motore della macchina. Il paesaggio si dispiega gradevolmente, le dolci colline sono immerse in una luce soffusa, tali e quali come le avrei riscoperte più tardi nella Galleria Nazionale di Perugia, sullo sfondo delle scene di santi del Perugino. Perugia, capoluogo dell’Umbria, è in cima a una montagna, come quasi tutti i borghi antichi di questa regione. Uno dei passaggi più belli e più suggestivi di Perugia è sicuramente la Scalinata dell’Acquedotto, che porta al cuore della città dove l’antico e il moderno hanno scelto di convivere più facilmente che altrove nel Belpaese, proprio all’interno delle mura etrusche. Ad accogliermi, studenti di tutto il mondo che siedono con le loro bottiglie di birra sugli antichissimi gradini di travertino bianco davanti alla cattedrale, e dove gli incantevoli vicoli della scalinata si riempiono di squilli di cellulari e musica. E mi vengono in mente i nomi illustri che prima di questi giovani marciavano inerpicandosi su questi scalini. Il giurista Baldo degli Ubaldi, il pittore Bernardino di Betto detto il Pinturicchio per citarne solo due. Artisti, storici, religiosi, poeti, pittori, scrittori, musicisti, architetti, condottieri nati e vissuti nei comuni della provincia di Perugia che hanno contribuito a rendere questa regione ancor più ricca di misticismo, storia, arte, cultura e tradizioni. Anche grazie a loro, oggi la regione è tra i primi posti per l’affluenza di turisti che da tutto il mondo visitano le numerose città d’arte.

Orvieto, che si erge come una corona su un enorme altopiano di tufo vulcanico, è ancora più fantastica di Perugia. Un vero spettacolo. Il cuore della città è la grandiosa cattedrale con gli affreschi del Giudizio Universale firmati da Signorelli. Nei suoi romantici vicoli circostanti ho l’impressione di immergermi nella più bella quotidianità italiana, quella fatta di avvocati in Vespa, di scolari che giocano e di pensionati che si incontrano al tramonto sui gradini di pietra davanti al Duomo. Al tramonto, sì. Perché è l’ora in cui la facciata gotica che sembra una capanna appuntita, si tinge di un rosso fiammeggiante. I suoi abitanti lo sanno bene, per questo vanno a godersi lo spettacolo.

SPIRITUALITÀ E PIACERI DELLA TAVOLA

Le piccole città dell’Umbria, invece, si aggrappano ai pendii tra gli ulivi come i villaggi di gesso di un presepe natalizio all’italiana: Trevi, Gubbio o Spoleto. Fortezze medievali di pietra luminosa, raccolte dietro mura protettive, chiuse e un po’ inquietanti, come se le avessero costruite forze sovrumane. E ogni volta mi ritrovo in una piazzetta tranquilla dove adolescenti giocano a calcio mentre le madri discutono di questioni esistenziale abbastanza terra terra, sedute sulle panchine al riparo dei platani.

A Spello, mi arrampico per i ripidi vicoli al suono della musica di Titanic, è il suono di un clarinetto che ripete dietro le finestre aperte della scuola media. Improvvisamente si apre la porta di una chiesa pesante e buia; due suore del convento protendono la testa verso di me e sorridono amabilmente. Sono clarisse. Il loro ordine fu fondato nella città di Assisi da Santa Chiara, fedele compagna di Francesco. Avevano notato la mia sorpresa: “Stiamo aspettando i nostri kiwi”, mi spiega una di loro. “Ci servono per fare una buona marmellata. Il commerciante di frutta dovrebbe portarceli da un momento all’altro”. Questa Italia della spontaneità mi incanta ogni volta.

Spiritualità e piaceri della tavola in queste terre non sono in contraddizione. La prova? Basta sapere che persino un vino usato per la celebrazione della messa è diventato un cru molto apprezzato nel mondo. Nel passato, la varietà Sagrantino aveva sempre prodotto un rosso così aspro che i contadini preferirono essiccare gli acini e trasformarli in passito dolce. Ed è con quest’ultimo che i preti del posto celebravano la messa. “Trenta o quarant’anni fa nessuno sapeva quante potenzialità nascondeva il sagrantino”, mi racconta Francesco Antano dell’azienda Colleallodole, “è bastato dargli un po’ di tempo”.

L’ARTE DI UN VINO MATURATO NELLA PACE 

Le vere viti di Sagrantino, quelle appunto di Francesco Antano, crescono sulle colline argillose intorno alla vicina cittadina di Montefalco. Francesco sembra un chitarrista rock. Capelli grigi di media lunghezza, maglietta bianca attillata, e l’immancabile collana da smargiasso. Ci sediamo in una sorta di garage sotto casa sua e mi racconta come lascia invecchiare il suo vino per sei o sette anni per togliergli quella durezza che lo caratterizza, ma lasciando intatto il suo carattere. “Un Sagrantino non deve essere per forza elegante. È come un tipo muscoloso, autoctono e intelligente. Un vino che nasconde il suo fascino”, e me lo dice mentre versa nel mio bicchiere il primo sorso di un rosso scuro e vellutato. Dapprima tannico, pizzica la bocca, poi di colpo si allarga ma lentamente, in una profondità terrosa dal sapore di more e ciliegie che risuona a lungo. Il mio silenzio incantato rassicura Francesco che mi sveglia dall’estasi con uno perentorio: “Allora? Non lo dimentichi così in fretta, vero?”. Solo quando siamo tornati in macchina mi rendo conto che l’enologo non solo ha descritto il suo Sagrantino, ma un po’ anche sé stesso e la sua terra.
Un’altra bella tappa per la mente e il corpo.
L’Umbria in fondo è tutta qui: una terra di poche parole e seria; non cerca di innamorare come l’Italia colorata del mare e delle spiagge. L’Umbria fa il suo lavoro, saggiamente, a testa bassa, mentre la nebbia autunnale incomincia a lasciare il posto al freddo invernale che soffia nelle valli. E il vento porta il suo profumo che è quello del suolo umido della foresta, mescolato all’odore speziato dei ceppi accesi nei vecchi camini di casa. L’Umbria è una terra che racconta la tranquilla felicità di chi è riservato, semplice, schivo. È proprio vero che un cuore verde, un’anima spirituale e un ventre soddisfatto, formano un insieme felice che vi consiglio ardentemente di scoprire.