Il Leone d’oro della 69a Mostra del Cinema di Venezia è stato assegnato all’intenso film Pietà, del regista Sud Coreano Kim-Ki-Duk. Al film Bella Addormentata di Marco Bellocchio, consacrato al tema dell’eutanasia, il premio Mastroianni, per l’attore emergente Fabrizio Talco. Troppo poco per un film che meritava sicuramente di più, ma i 16 minuti di applausi del pubblico sono destinati a rimanere nella storia del Festival. RADICI, presente alla Mostra di Venezia, ha incontrato il regista Marco Bellocchio.

 “Il faut savoir,

Coûte que coûte,

Garder toute sa dignité,

Et malgré, ce qu’il en coûte,

S’en aller sans se retourner…

È con le parole della canzone di Aznavour che, dopo un giorno di silenzio, il regista Marco Bellocchio amareggiato per l’esclusione al festival di Venezia, torna a parlare del suo film Bella Addormentata. Lo fa scagliandosi contro il membro della giuria che accusa il cinema italiano di essere troppo provinciale e autoreferenziale: “Sono stato sconfitto; ma non accetto lezioni di cinema da parte di nessuno; il tema dell’eutanasia, il dramma del fine vita è un tema provinciale? Il film è complesso e ha bisogno di tempo per essere capito e chi viene da oltreoceano ha difficoltà a capire quel che succede da noi, quali siano le forze politiche in gioco; la nostra tradizione cattolica, il peso del Vaticano”. Alcuni manifestanti del Movimento Cristo per la vita al Lido hanno pregato e protestato contro il film, che non avevano visto, ma già definivano “pericoloso”. Contestazioni anche a Roma di alcuni rappresentanti di Milita Christi che distribuivano volantini su “Eluana la bella non addormentata, vittima dell’eutanasia” i quali sono stati invitati dal regista a fare un film che rappresenti il loro punto di vista.

Quello di Bellocchio è un film forte, complesso, equilibrato, commovente. Racconta quattro storie che si intrecciano negli ultimi giorni di vita di Eluana Englaro, la giovane donna in coma vegetativo per 17 anni in seguito a un incidente stradale. Il caso, divise l’Italia. La pellicola affronta il tema importante e delicato dell’eutanasia. Quattro storie diverse, con posizioni altrettanto diverse sul fine vita. C’è un senatore Uliano Beffardi interpretato dal bravissimo Tony Servillo, in crisi perché costretto dal suo partito, Forza Italia, a votare la legge per impedire l’interruzione dell’alimentazione e idratazione forzata, scelta che contrasta con la sua storia personale, ha infatti praticato la “dolce morte “ alla moglie morente, malata terminale. C’è poi la figlia Maria (Alba Rohswacher) cattolicissima, attivista del movimento per la vita, che andrà a Udine davanti alla clinica dove è ricoverata Eluana, a pregare e protestare contro quello che ritengono un omicidio e si innamorerà di Roberto (Michele Riondino) di opposte idee laiche. Poi c’è un’attrice (Isabelle Huppert) che, abbandonato il suo lavoro, vive il dramma di Eluana perché ha una figlia, bellissima, in coma ed è una Mater Dolorosa che annulla se stessa nella solitudine e nel dolore della figlia addormentata. C’è infine un medico pallido (Pier Giorgio Bellocchio) che risveglia alla vita una giovane tossicodipendente (Maya Sansa) e la salva dal suicidio. Nel film sono molti i riferimenti alla realtà, alla cronaca di quei giorni con spezzoni dei telegiornali ben inseriti che tengono lo spettatore legato ai fatti di cronaca sulla vicenda di Eluana Englaro. È certo che il film nonostante il verdetto sfavorevole della giuria ha fatto riscoprire il piacere della discussione di un tema che era ipocritamente scomparso dal dibattito politico e culturale.

Come è nata l’idea del film?

Per caso, mi sentivo aggredito da quello che vedevo e sentivo, nei giorni che Beppino Englaro fece trasferire la figlia nella clinica la Quiete di Udine, che consentì di poter sospendere l’alimentazione artificiale e per reazione mi sono venute in mente immagini e poi ho strutturato e arricchito questa storia con gli sceneggiatori. I personaggi sono di fantasia, ma in ognuno di loro c’è qualche cosa di me.

E il titolo Bella Addormentata?

La Bella Addormentata non è solo Eluana, ma anche la ragazza tossicodipendente Rossa, la Mater Dolorosa (Isabelle Huppert) e può farci anche pensare all’Italia come la vediamo oggi, che dovrebbe svegliarsi dal torpore nel quale è avvolta e dalla profonda crisi.

Il tema del film è di grande attualità. In questi giorni anche un’autorevole voce della Chiesa, il Cardinale Carlo Maria Martini ha deciso di non nutrirsi artificialmente. Il padre gesuita sosteneva che al malato grave spetta in ogni momento il diritto di interrompere le cure che lo tengono in vita; pensa che abbia voluto lanciare un ultimo messaggio?

Mi ha molto colpito il modo con cui il Cardinale Martini ha voluto concludere la sua vita. Un uomo di grande fede che ha chiesto di essere sedato e di non subire un inutile accanimento terapeutico. Voleva forse ribadire le parole di Papa Wojtyla: “Lasciatemi andare alla casa del padre”.

Nel film ha cercato di non privilegiare nessuna posizione e non ergersi mai a giudice.

Ho cercato di rappresentare tutte le posizioni con uno sguardo di comprensione, interesse e rispetto anche per il sentire cattolico, anche se non mi sono convertito.

Laura Damiola

Bottone Radici