L’abbandono dell’Opera di Roma da parte del maestro Riccardo Muti ha sollevato il velo sul disastroso stato in cui versano enti e fondazioni liriche in Italia.
Da Genova a Napoli i teatri lirici sono sommersi dai debiti, commissariati o in perpetuo stato di mobilitazione.

L’ultimo colpo è arrivato pochi giorni fa da Roma, quando il maestro Riccardo Muti, che avrebbe dovuto dirigere l’Aida e Le nozze di Figaro (rispettivamente a novembre e maggio), con una lettera al Sovrintendente dell’Opera di Roma ha annunciato il suo rammaricato addio. «Non ci sono le condizioni per poter garantire quella serenità per me necessaria al buon esito delle rappresentazioni», dice Muti nella sua missiva, con riferimento ai continui scioperi e manifestazioni di una minoranza di musicisti che hanno in pratica tenuto in ostaggio tutto lo staff dell’Opera. Tempo fa, alla prima dell’Ernani, dopo la rappresentazione un gruppo di musicisti e di sindacalisti avrebbe persino fatto irruzione nel camerino di Muti con modi che il maestro non ha per nulla apprezzato. Riccardo Muti da sempre si scaglia contro i tagli alla cultura (vedi l’accesa polemica con Sandro Bondi, allora Ministro della Cultura nell’ultimo governo Berlusconi), ma è anche vero che il maestro ha sempre voluto tenersi alla larga dalle beghe sindacali e lui, ad essere tirato per la giacca, proprio non piace.
Vero è che i sindacati degli artisti non sono nuovi a richieste che definire imbarazzanti è ben poco. Qualche esempio: alla Scala di Milano, salta il balletto Romeo e Giulietta, perché i coristi, che dovevano muovere la testa al ritmo della musica, chiedevano “l’indennità da prestazione speciale”. Stessa decisione presa dai ballerini, costretti, a loro dire, ad esibirsi su di una scena leggermente inclinata.
Questo non è che l’inizio, poiché se all’Opera di Roma non si ride, nei numerosi teatri lirici d’Italia la situazione è, se possibile, ancora peggiore.

La fondazione del Maggio Musicale Fiorentino (uno dei più prestigiosi enti operistici d’Italia) sta uscendo solo ora, e a fatica, da anni di crisi iniziati sotto la direzione dell’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi, costretto a tagli dolorosi e a licenziamenti. Seguirono proteste e colpi di scena, il commissariamento dell’ente ed infine il salvataggio grazie al decreto legge Valore Cultura voluto dal ministro della Cultura Massimo Bray che ha anticipato 5 milioni di euro per far fronte all’emergenza, in cambio ovviamente di forti riduzioni di spesa e di personale.

Teatro San Carlo

Il Real Teatro San Carlo di Napoli

Il Teatro San Carlo di Napoli (che di recente si è aggiudicato il secondo posto della classifica “10 Opera Houses” stilata dal National Geographic) è stato commissariato a gennaio in seguito ai pesantissimi debiti in cui stava per affogare. Il ministro Bray ha nominato un commissario affinché il Teatro potesse risanare il suo bilancio, così da poter accedere ai finanziamenti messi a disposizione dal decreto legge di cui abbiamo parlato sopra. La decisione è stata duramente contestata dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che ha visto la nomina del commissario come un’ingerenza inopportuna del governo.
Di buono c’è che gli abbonati del teatro volano verso le 8.000 unità contro i 1.500 della stagione 2010-11.

Alexander Pereira

Alexander Pereira

Va peggio alla Scala di Milano. L’austriaco Alexander Pereira dovrebbe insediarsi il prossimo ottobre alla direzione musicale del teatro ma il suo arrivo coincide con l’acquisto da parte del teatro milanese di quattro allestimenti (del valore di circa 700mila euro) che lo stesso Pereira aveva diretto (e prodotto) al Festival di Salisburgo. Niente di male, si dirà. Il problema è che il ricavato finirà nelle tasche del Festival di Strasburgo di cui, guarda caso, Pereira è il direttore artistico. Compratore e venditore allo stesso tempo, in più col risultato che il cartellone di Milano diventerebbe una mera succursale del Festival austriaco, senza contare il danno economico. Il quotidiano La Repubblica ha anche pubblicato in esclusiva le lettere in cui Pereira si impegnava nell’acquisto delle opere; dalle missive era evidente l’imbarazzo del destinatario, Helga Rabl-Stadler, presidente del Festival di Salisburgo, che ammoniva Pereira sull’evidente conflitto di interessi.
L’ultimo capitolo di questa miserevole faccenda si è svolto a maggio, quando il Consiglio d’amministrazione della Scala chiedeva al maestro di ridursi lo stipendio per far fronte agli oneri del teatro. La risposta di Pereira, manco a dirlo, è stata: « Non ci penso proprio ». Al momento, il destino dell’astuto direttore austriaco alla direzione Scala è ancora incerto.

Il Teatro Massimo di Palermo è stato commissariato per molti anni, e di qui a poco la direzione è passata ad un vero sovrintendente, Francesco Giambrone, che si trova a fare i conti con un teatro dove da dieci anni non esiste un direttore artistico e che ha visto il numero degli abbonati dimezzarsi a tutta velocità.

E per fortuna che siamo la patria di Giuseppe Verdi…

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