Quando non c’erano gli “alimenti” e il divorzio era un tabù, ci si lasciava così.
“Quando si trova un coniuge ammazzato, la prima persona inquisita è l’altro coniuge: questo la dice lunga su quel che la gente pensa della famiglia”, affermava lo scrittore inglese George Orwell (1903-1950). Eppure per secoli il mantra è stato: giù le mani da questa istituzione. Esaltata, svilita, banalizzata, ma sempre in piedi. Pilastro esclusivo della società. Con i suoi equilibri indiscussi, sbilanciati a favore dell’uomo. E i suoi rituali arcaici, figli di culture patriarcali prima, borghesi poi. Difesa anche al prezzo di mascherare ipocrisie oppure oltraggiata a volte solo per pregiudizi ideologici, fino a diventare nel secondo Novecento terreno di scontro: è stato quando la legge sul divorzio (del 1970) ha diviso gli italiani che nel maggio di quattro anni dopo, esattamente 40 anni fa, sono andati in massa a votare il referendum per dire se volevano o no la sua abrogazione. Vinsero i “no”, i cattolici incassarono il colpo e il divorzio rimase legale. Una rivoluzione copernicana per il Paese, soprattutto per il cosiddetto sesso debole che vide riconosciuto il diritto di scegliere come e con chi vivere. Ma prima, come ci si separava? E la donna, dopo la separazione, come viveva?