Precorsero i tempi, immaginarono il futuro, inventarono tecnologie rivoluzionarie.

A tu per tu con alcuni dei più grandi geni italiani di ogni epoca.

Articolo 1

LO SCOMODO GALILEO 

460 anni fa, precisamente il 15 febbraio 1564, nasceva lo scienziato pisano che ebbe il coraggio di criticare i dogmi del suo tempo. Ecco come ridisegnò il cosmo, la Terra e ogni sapere, inventando il metodo scientifico.

MARIA LEONE /FS

Il gruppetto di notabili veneziani che, sudando copiosamente, si era inerpicato fin sulla loggia del campanile di San Marco si raccolse intorno a Galileo Galilei, l’organizzatore del bizzarro ritrovo. In quella calda mattinata di fine agosto, nell’anno 1609, i loro occhi furono catturati dall’ultimo degli strumenti usciti dall’officina in Borgo dei Vignali, a Padova, dove l’ingegnoso matematico pisano dava forma alle sue idee. Si trattava di un sottile tubo di metallo con le estremità chiuse da lenti, lungo poco più di mezzo metro e rivestito, per l’occasione, di cotone color cremisi: uno di quei « vetri prospettici » realizzati da poco in Olanda ma, a detta dello stesso Galilei, « rifatto migliore ». Gli astanti potevano appurarlo, guardandoci dentro: ecco il campanile della basilica padovana di Santa Giustina, le case di Marghera, addirittura i volti delle persone che salivano e scendevano dalle gondole attraccate a Murano. Fu un trionfo, che pochi giorni dopo si ripeté in Senato, di fronte al doge. 

IL « CANNONE OCCHIALE »

Ma più che quel celebrato « nuovo artifizio », che rendeva gli oggetti nove volte più grandi e tre volte più vicini, a cambiare il futuro della scienza fu la decisione del suo costruttore di puntare il « cannone occhiale » verso il cielo, dopo averlo trasformato, con combinazioni di lenti sempre più potenti, in uno strumento astronomico. Così, in virtù di un’idea scopiazzata e della sua estrema curiosità scientifica, tra il 1609 e il 1610 Galileo ridisegnò il cosmo, la terra, l’astronomia, l’astrologia, la filosofia e quasi ogni ambito del sapere. Ma come ci riuscì? Con una rivoluzione: trasformò la scienza in un sapere pratico, invece che contemplativo, basato sull’osservazione diretta della realtà e sui dati ottenuti con esperimenti condotti « senza mai supporre come vero quello che si deve spiegare« . Gettò in questo modo le fondamenta del moderno metodo scientifico sperimentale, di cui è ritenuto il padre. « Che una tesi sia contraria all’opinione di molti non m’importa affatto, purché corrisponda alla esperienza e alla ragione« , predicava ai suoi studenti dell’Università di Pisa, dove, nel 1589, grazie ad alcune conoscenze, aveva ottenuto la cattedra. Sicuro del suo metodo, si permetteva di dubitare persino delle teorie sulla natura e sul cosmo del filosofo greco Aristotele (IV secolo a.C.): teorie che nessuno, per quasi due millenni, aveva osato mettere in discussione, ancor più da quando la Chiesa le aveva usate per sostenere la verità rivelata dalle Sacre Scritture. 

A PADOVA

« Quelli che imparano non sanno mai le cose dalle loro cause, ma le credono solamente per fede, cioè perché le ha dette Aristotele. Se poi sarà vero quello che ha detto Aristotele, sono pochi quelli che indagano« , notava il pisano, che in questo modo si inimicò i colleghi più tradizionalisti. Ma è probabile che non avrebbe smentito molte di quelle teorie se, nel 1592, non fosse finito a insegnare nel prestigioso e anticonformista Studio di Padova dove si respirava ancora un’aria di libertà intellettuale che tanto preoccupava gli emissari dell’Inquisizione. Il posto ideale per l’inquieto Galileo, che qui visse, parole sue, « li diciotto anni migliori di tutta la mia età« . Eclettico e di mente vivace, Galileo non si limitò a esercitare il suo ruolo istituzionale. Dopo avere trasformato la propria casa in una specie di convitto per studenti, aprì la famosa « officina » da cui, di li a poco, sarebbe partita la rivoluzione scientifica. 

L’INQUISIZIONE

Per guadagnare soldi, costruì un’infinità di strumenti più o meno utili e si dedicò persino agli oroscopi su commissione. Ed è proprio quest’ultima pratica, considerata in odore di eresia, che gli fruttò la prima brutta esperienza con l’Inquisizione. Nel 1604 fu denunciato da parte di un ex collaboratore, di professare l’astrologia divinatrice e di « vivere ereticamente« , dato che « in cambio de andare alla messa andava da quella sua putana Marina veneziana » (Marina Gamba, con cui, all’inizio del Seicento, ebbe tre figli illegittimi, ndr). Erano accuse gravi per l’epoca, ma il Senato della Repubblica teneva molto a quell’utile inventore, al punto che insabbiò il dossier prima che giungesse a Roma. Per il momento Galileo aveva vinto, ma la partita era appena all’inizio. Dieci anni dopo, il frate domenicano Tommaso Caccini pareggiò i conti, rendendo noto al Sant’Uffizio che lo scienziato contraddiceva le Sacre Scritture, affermando che « la Terra non è il centro del mondo, né immobile, ma da sé si muove« . 

Com’era arrivato, il pisano, a quella convinzione? Bisogna fare un passo indietro, al 1609. Da quel giorno della celebrata impresa sul campanile di San Marco, Galileo aveva fatto passi da gigante nello studio dell’universo: col suo cannocchiale aveva osservato anche la superficie lunare, i satelliti di Giove, le fasi di Venere, gli anelli di Saturno e persino le macchie solari. E da ognuna di queste scoperte, aveva ricavato prove a sostegno della teoria eliocentrica (secondo cui il Sole è immobile al centro del cosmo e la Terra gli ruota intorno insieme agli altri pianeti), elaborata più di mezzo secolo prima dall’astronomo polacco Niccolò Copernico. Non era stato un colpo di testa improvviso, ma un coming-out in piena regola, dopo anni di copernicanesimo silenzioso. Ed era stato seguito da un’ulteriore consapevolezza: il cielo e la terra non erano, come si riteneva allora, due mondi radicalmente diversi, tanto perfetto e immutabile il primo, quanto imperfetto e variabile il secondo. No: sottostavano entrambi alle stesse leggi della fisica. Di fronte a queste affermazioni, la Chiesa drizzò le antenne.

PERICOLOSO

Le novità celesti mettevano in grave pericolo l’ordine millenario. E facevano risuscitare dalle viscere dell’inferno autori « dannati » come Giordano Bruno, bruciato come eretico solo 15 anni prima. Il ricordo delle teorie di Giordano Bruno su « infiniti soli e infiniti mondi » era sempre vivo e la Chiesa era pronta a sbarrare la strada a chiunque tentasse di fondare nuove cosmologie che mettevano in dubbio l’universalità e la centralità di Cristo, negando il dettato delle Scritture che parlavano « di un solo mondo e di un solo genere umano« ».

La denuncia di frate Caccini sfondò quindi una porta aperta. Da anni le autorità ecclesiastiche osteggiavano la teoria copernicana, che si contrapponeva al sistema geocentrico (in cui la Terra si trova al centro dell’Universo, che le ruota intorno), elaborato dall’astronomo Claudio Tolomeo (II secolo d.C.), partendo dalle teorie di Aristotele. Perciò, prendendo due piccioni con una fava, pochi giorni prima che il De revolutionibus orbium coelestium di Copernico finisse nell’Indice dei libri proibiti (1616), il papa ordinò al cardinale Roberto Bellarmino, già giudice nel processo a Giordano Bruno, di « convocare Galileo e di ammonirlo di abbandonare la suddetta opinione [Le teorie copernicane, ndr); e se si fosse rifiutato di obbedire, [..] di fargli precetto di abbandonare del tutto quella dottrina e di non insegnarla, non difenderla e non trattarla » 

SFIDA APERTA

Troppo sicuro delle proprie idee, dell’appoggio dei suoi amici potenti e del favore del granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici, su cui finalmente era riuscito a far colpo, Galileo sottovalutò la pericolosità di quella prima formale ammonizione. La goccia che fece traboccare il vaso papale cadde nel 1632. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, cercando di difendere le teorie copernicane, Galileo mise in bocca le tesi a favore del sistema tolemaico, e anche alcune affermazioni del pontefice al riguardo, al protagonista meno sveglio: il filosofo aristotelico Simplicio, « semplice » di nome e di fatto. Urbano VIII non la prese bene: come raccontò l’ambasciatore fiorentino Francesco Niccolini, « proruppe Sua Santità in molta collera e all’improvviso mi disse ch’anche il nostro Galilei aveva ardito d’entrar dove non doveva”. 

IN GINOCCHIO

Galileo « veementemente sospetto d’eresia« , ricevette l’ordine di comparire davanti al commissario generale del Sant’Uffizio e il 20 gennaio 1633 fu costretto a raggiungere Roma. Qui venne arrestato, interrogato e, il 22 giugno, condannato dagli inquisitori. Inginocchiato sul pavimento di dura pietra, per sopravvivere ritrattò la propria teoria, maledicendo « i suddetti errori ed eresie« . Il « carcere formale » venne commutato in un ergastolo dorato, che Galileo passò ai domiciliari nella sua villa di Arcetri, a sud di Firenze. Ma la vera punizione, per Galileo, fu quella di aver perso la vita che amava, in mezzo a studenti e accademici, amici e ammiratori. Gli rimase, però, la solita indomita curiosità scientifica: ormai ultrasettantenne, nonostante l’umiliazione dell’abiura, gli acciacchi e la cecità, continuò a indagare l’Universo. Sempre convinto, come aveva scritto coraggiosamente nel 1613, che “l’intenzione dello Spirito Santo è di insegnare come si vada al cielo. Non come vada il cielo« . 

M.L.

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GIORDANO BRUNO E GLI « INFINITI MONDI » 

Quando, Galileo arrivò a Venezia (1592) un altro grande visionario, Giordano Bruno (1548- 1600) era in città agli arresti già da alcuni mesi. Il frate si trovava da tempo nei fascicoli dell’Inquisizione alla voce « eretico ». Era entrato nell’ordine dei domenicani intorno ai 14 anni, non per vocazione ma per dedicarsi ai suoi studi di filosofia; insofferente ai dogmi, si considerava un riformatore e, in netto anticipo sui tempi, aveva teorizzato una specie di « multiverso ». Il suo pensiero, nato da un mix di diverse discipline e tradizioni filosofiche, si basava sull’idea di un universo composto da infiniti mondi, opera di un Dio altrettanto infinito. Ovvio che non potesse finire bene per lui: dopo anni di peregrinazioni in Europa, in Italia si ritrovò fra le mani dell’Inquisizione e per le sue teorie venne bruciato vivo il 17 febbraio 1600 a Roma, in Campo dei Fiori, dove oggi c’è la sua statua. 

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LE SUE ALTRE SCOPERTE 

Galileo Galilei, l’uomo che « inventò » il metodo scientifico e il telescopio, ebbe al suo attivo numerose scoperte, oltre a quelle astronomiche. La prima fu la legge sull’isocronismo del pendolo. Nel 1585, basandosi sul proprio battito cardiaco, cronometrò le oscillazioni della lanterna del Duomo di Pisa e notò che avvenivano nello stesso intervallo di tempo, a prescindere dalla loro ampiezza (anche se oggi sappiamo che ciò accade solo se le oscillazioni sono di piccola ampiezza). A influire sul periodo di oscillazione, scopri, era invece la lunghezza del pendolo.

 Mettendo in pratica le sue teorie, o per trovarne conferma, costruì svariati strumenti scientifici. Tra i più famosi: il termoscopio (antenato del termometro, con cui si potevano rilevare i cambiamenti di temperatura di un corpo), il compasso geometrico militare (con cui eseguire calcoli aritmetici e operazioni geometriche sul campo di battaglia), una pompa idraulica per sollevare l’acqua, una bilancia idrostatica che, misurando l’entità della spinta ricevuta da un corpo immerso nell’acqua, ne calcolava il peso specifico. 

M.L.