Sessantacinque anni fa, la prima edizione del Festival di Sanremo. Debuttò nel casinò della città, tra i tavolini di un bar e l’andirivieni dei camerieri.

Qualcuno l’ha definito la “grande evasione”, la “colonna sonora” di un’Italia che si affacciava spensierata alla modernità, con il sole in fronte e la voglia di cantare. Il Festival di Sanremo compie 65 anni, ma la sua età dell’oro furono gli esordi. Furono quelli gli anni che l’hanno reso evento nazional-popolare amato e criticato, ma quasi sempre seguito. E anche se le sue canzoni non sono state l’avanguardia musicale, hanno però avuto il merito di interpretare una nazione in trasformazione. Un’Italia in crisi d’identità, anche sonora: con un orecchio rivolto ai melodici e al melodramma e l’altro allo swing e al jazz d’oltreoceano. Sempre con un punto fermo: non voler “fa’ l’americano”. Secondo lo storico Giovanni De Luna, anzi, Sanremo “stava con un’Italia familistica, contadina, segnata da quadri mentali che appartenevano a una cultura più ottocentesca che novecentesca, un’Italia in cui le continuità col fascismo erano molto più forti che non le rotture”. In effetti, i primi a salire su quel palco non furono proprio dei rivoluzionari, ma gli stessi che anni prima avevano cantato Faccetta nera e O mia bela Madunina.

Giuliana Rotondi