Era il 1970, ed il concept album era qualcosa di cui si parlava molto, nell’ambito musicale: un album dove tutto, testi e musica, ruotava attorno ad un tema specifico. Un concetto appunto, un tema.
La buona novella vide la luce il 1° novembre del 1970, nel pieno di questo nuovo movimento, nel giorno (forse casuale, forse no) di Ognissanti, e per De André quello fu il disco del cambiamento, il disco della rivoluzione.
Si tratta dunque un album concettuale, ispirato dalla lettura di alcuni Vangeli apocrifi (esclusi dalla Bibbia cristiana, quindi non riconosciuti dalla Chiesa), in particolare il Protovangelo di Giacomo ed il Vangelo arabo dell’infanzia, ed è incentrato sulla figura umana di Gesù Cristo.
Erano gli anni ’70, dicevamo, gli anni delle contestazioni studentesche, e parlare di Gesù mentre le manifestazioni di operai e studenti venivano puntualmente sedate a colpi di manganello, a molti sembrò fuori luogo, ma per De André c’era un legame profondo tra le due cose, dato che « un signore 1969 anni prima aveva già parlato contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi« .
La Buona Novella è rimasto attualissimo anche 50 anni dopo la sua pubblicazione, al punto che un gruppo di musicisti, produttori, studiosi e appassionati di De André ha pensato di reinterpretare il disco in dialetto siciliano. A capo del progetto c’è Francesco Giunta, poeta, cantautore e maestro di cunto (una forma di racconto in dialetto siciliano, originaria del Medioevo). Con lui, un linguista di alto profilo, il professor Giovanni Ruffino, dal 2017 accademico della Crusca; poi ovviamente le voci, quelle di Cecilia Pitino, Alessandra Ristuccia, Laura Mollica, e Giulia Mei. Al progetto partecipa la Fondazione Fabrizio De André, un’associazione senza scopo di lucro fondata e guidata da Dori Ghezzi (compagna di vita di De André).
Il progetto è davvero unico e non c’è dubbio che lo stesso De André lo avrebbe apprezzato, lui che i dialetti li amava alla follia (nella sua carriera di cantautore ha cantato in genovese, in sardo, in napoletano) ma proprio in virtù dell’unicità di questo lavoro, l’album sarà distribuito solo in vinile e con una tiratura limitata a 500 copie. Insomma, un pezzo da collezione ma non è da escludere una versione digitale o in cd, per il futuro.
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