L’urlo del Bernabeu e quel cielo azzurro sopra Berlino
Il 9 maggio 1978 era stato ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, il leader democristiano sequestrato dalle Brigate Rosse 55 giorni prima. Era l’inizio degli “Anni di fango” e grazie al calcio si cercava una serenità da tempo perduta. Per fortuna ai Mondiali giocavamo quasi in casa perché in Argentina ci accolsero gli oriundi italiani partiti tanti anni prima verso le Ande in cerca di lavoro e che mai avevano dimenticato la Patria. Ai mondiali, la Nazionale di Bearzot poteva contare su nuovi talenti come il goleador Paolo Rossi, sulla bocca di tutti perché valutato 5 miliardi e 225 milioni di lire in un’epoca in cui il mensile di un operaio arrivava a 120mila lire.
Nel girone ci toccarono la Francia dell’emergente Platini, la sempre pericolosa Ungheria e i padroni di casa, l’Argentina appunto. La spuntammo bene con francesi (2-1) e ungheresi (3-1). Già qualificati, non restò quindi che sfidare per il primo posto gli argentini guidati da Mario Kempes, un capellone figlio dei tempi, veloce e dal gol facile.
L’attesa fu febbrile, la partita sentitissima in Italia davanti ai nuovi televisori a colori ma soprattutto a Buenos Aires. Le origini italiane di molti argentini tornarono a farsi sentire e così mentre i figli tifavano per la nazione biancoceleste dov’erano nati, nonni e padri rispolverarono il tricolore ricordando il tempo che fu. «Vogliamo attaccare e travolgere, non difenderci», disse Bearzot, «rendere orgogliosi i nostri compatrioti che vivono qui».
E così fu: l’Italia attaccò e vinse, 1-0 con gol di Bettega. Nemmeno nei Mondiali del 1970 s’era vista un’Italia così bella, che andò ai semifinali con Olanda, Germania Ovest e Austria. Lì, però, il vento cambiò. L’allenatore schierò sempre gli stessi undici e la squadra sembrò stanca. Contro i tedeschi fu 0-0, con gli austriaci vincemmo per una rete e con gli olandesi addirittura perdemmo complice un tiro dalla distanza che fece dubitare della vista di Zoff tanto fu clamoroso il suo errore. La finale dei mondiali, così, sfumò. Dall’altra parte ad aspettare l’Olanda ci fu l’Argentina (poi campione) mentre a noi toccò il Brasile per un terzo posto che non interessava a nessuno e che infatti perdemmo.
Tornammo a casa con la sensazione di aver sprecato un’occasione. La conservammo per mesi, e intanto l’Italia dava il benvenuto al suo nuovo Presidente Sandro Pertini, “Presidente di tutti gli italiani”, e al polacco Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo II.
Biagio Picardi
Nato a Lagonegro, un paesino della Basilicata, e laureato in Scienze della Comunicazione, vive a Milano. Oltre che per Radici attualmente scrive per Focus Storia e per TeleSette e realizza gli speciali biografici Gli Album di Grand Hotel. In precedenza è stato, tra gli altri, caporedattore delle riviste Vero, Stop ed Eurocalcio e ha scritto anche per Playboy e Maxim. Nella sua carriera ha intervistato in esclusiva personaggi come Giulio Andreotti, Alda Merini, Marcello Lippi, Giorgio Bocca e Steve McCurry.