Continua il viaggio nel Festival di Sanremo (qui il mio intervento sulla prima serata). Decisamente sotto tono la musica di questa seconda tranche, fatta eccezione per un finale mozzafiato. Ma andiamo con ordine iniziando dai
Modà. Per loro un inizio in sordina con un pezzo lento: Se si potesse non morire, un po’ pesante da proporre come apri-pista. Non si migliora con il secondo brano Come l’acqua dentro il mare, un’altra ballad non meno soporifera della precedente, che viene infatti eliminata. Sul momento, credevo che avessero suonato due volte la stessa canzone. La performance di Silvestre, voce del gruppo, è tuttavia buona.
Simone Cristicchi. Giovane cantautore (già vincitore di Sanremo 2007), è uno di quelli che col canto proprio non va d’accordo e non fa nulla per nasconderlo. La prima canzone Mi manchi è ingenua, senza pretese e con molte stonature. La sorpresa arriva con il secondo brano, La prima volta (che sono morto), un’originale filastrocca sugli ultimi istanti di vita di un uomo. Il pezzo riesce bene, più in linea con il suo stile. Il pubblico lo nota e lo premia, meritatamente.
Malika Ayane. Indubbie le qualità vocali di questa 29enne dall’aria un po’ spaurita. La sua voce è particolare, di non facile ascolto, ma il mestiere lo conosce bene. I due brani, Niente e E se poi non brillano per originalità, ma la voce di Malika riesce a salvare il tutto. E se poi rimane in gara.
Almamegretta. Se ci volesse una conferma che il Festival di quest’anno è quello musicalmente più aperto della storia, gli Almamegretta, gruppo dub napoletano, ne sono l’esempio. La voce di Raiz è roca e fumosa, lontana anni luce dal « bel canto » sanremese ma le parole sfuggono via, incomprensibili. Mamma non lo sa (brano vincitore) è però francamente inascoltabile per chi non è abituato alle sonorità del gruppo. Il secondo brano Onda che vai non è peggio del precedente. Il che è già un buon traguardo.
Max Gazzé. Cantautore ormai affermato, a Sanremo è praticamente di casa. Eccentrico come sempre (è facile bersaglio della comica Luciana Litizzetto per le sue scarpe gigantesche) e la sua musica lo riflette: un pop d’avanguardia ben miscelato all’elettronica. Il primo brano I tuoi maledettissimi impegni, penalizzato da un microfono poco funzionante, sembra fino a quel momento la canzone più interessante. Il pubblico invece preferisce la seconda canzone, Sotto casa, la più applaudita del Festival.
Annalisa. Altro prodotto dei reality-show. A lei va il merito di risollevare il ritmo della serata con una spumeggiante Scintille, un brano che strizza l’occhio agli Anni ’60. Il secondo brano, Non so ballare è altrettanto gradevole (non per il pubblico, che premia Scintille) ma la sua voce non convince, ancora acerba.
Elio e le storie tese. Costoro sono un gruppo da sempre sopra le righe: testi al limite del demenziale uniti ad una preparazione musicale che in Italia non ha eguali. Vestiti come un gruppo gospel e con delle enormi fronti posticce (vedi foto), intonano una Dannati forever (rischio blasfemia!) decisamente spassosa ed orecchiabile. Che sia questa la canzone che tutti aspettavamo? No, arriva invece La canzone mononota.
Non faccio pronostici, ma di una cosa sono certo: questo Festival sarà ricordato soprattutto per questo brano. Adrenalinica, entra subito nel sangue tra inaspettati cambi di tempo e scambi pirotecnici tra i musicisti. La canzone termina, il Teatro Ariston non può che inchinarsi. Viene quasi da pensare che i 6 cantanti precedenti fossero semplici comparse. Non c’è partita: Elio e le storie tese giocano decisamente in un altro campionato.
Rédacteur et webmaster de RADICI